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Shalom: Tata Coraggio e il bambino salvato

Ariel Viterbo, Shalom

Il mensile Shalom ha pubblicato un articolo sul Beit Chabad a Mombay scrivendo che gli invitati del movimento diffondono la loro versione dell'ebraismo. Precisiamo che c'è solo una versione di ebraismo autentico ed è quello che tutti noi seguiamo. Forse l'autore intendeva scrivere del modo in cui viene diffuso.

Il titolo di giusta tra le nazioni a Sandra Samuel, la bambinaia del piccolo Moshè Holzberg rimasto orfano nell’attentato di Mombay.

Moshè Holzberg ha compiuto tre anni lo scorso novembre. secondo un uso della tradizione ebraica, fino a questa età non si tagliano i capelli ai bambini e il primo taglio è accompagnato da una cerimonia che segna l’inizio dell’educazione religiosa. ma per la famiglia di moshè non è stata una delle solite cerimonie: mancavano i genitori del bambino, rav gabriel noach Holtzberg e rivka rosenberg. al loro posto, una donna dalla carnagione scura guardava con infinito amore il piccolo orfano. è una di quelle storie che ci fanno credere ancora alla bontà del genere umano. emerge con grande forza proprio perché è stata la reazione istintiva di un cuore pulsante amore, davanti a menti accecate dall’odio e dalla follia omicida.

Poco più di un anno fa, nei giorni tra il 26 e il 29 novembre 2008, un gruppo di terroristi pachistani seminò la morte nella città indiana di mumbay, con una serie di attentati ad obiettivi civili. nel tragico attacco morirono complessivamente 166 civili e uomini delle forze dell’ordine, oltre a nove terroristi. il decimo venne catturato vivo. fra gli obiettivi colpiti c’era anche il locale centro dei chabad, una delle tante beit chabad sparse per il mondo, dalle quali gli inviati del movimento diffondono la loro versione dell’ebraismo. lì, nell’edificio chiamato nariman House, c’erano un centro educativo, una sinagoga e un ostello. rav gabriel noach Holtzberg e la moglie rivka rosenberg dirigevano il beit chabad, offrendo ospitalità ebraica agli ebrei di passaggio, ospitalità che comprendeva ovviamente pranzi kasher, lezioni di ebraismo, la frequentazione del tempio e molto di più, nello stile coinvolgente dei chabad. in pratica offrivano tutti i servizi di una comunità ebraica, compresa la sepoltura dei morti e la consulenza anti-droga. il primo giorno dell’attacco i terroristi penetrarono nell’edificio, sparando all’impazzata. assassinarono sei persone: rav Holtzberg, rivka e quattro ospiti. nella casa c’erano altre due esseri umani: il piccolo moshè, di due anni, figlio della coppia, e sandra samuel, la sua bambinaia, una vedova indiana di 44 anni. sandra non avrebbe dovuto essere lì: era la sua sera libera. ma c’era: all’udire i colpi di arma da fuoco, la donna si chiuse in una stanza e scampò la furia degli assassini. dal suo rifugio udì le grida di rivka, le raffiche dei mitra, il passo della morte a pochi passi dalla porta.

Poi, nel silenzio agghiacciante che seguì, il pianto del piccolo moshè. uscita dalla stanza, corse al piano superiore e trovò i corpi senza vita di rav gabriel e di rivka: accanto a loro, terrorizzato ma vivo, il figlioletto. i terroristi erano ancora nell’edificio e sandra non esitò un istante, prese il bimbo nelle sue braccia e corse fuori dall’edificio, salvando così il piccolo. dopo pochi giorni l’orfano venne riportato in israele e affidato ai nonni materni. sandra, la sua tata, non lo volle lasciare: “sono l’unica che moshè ascolta”, sostenne. e questo nonostante che lasciasse in india due figli grandi, di 18 e 25 anni. risolte la difficoltà burocratiche, moshè e la sua bambinaia arrivarono in israele e da allora sandra è rimasta qui.

come spesso accade il gesto di eroismo è stato spiegato dalla protagonista con grande semplicità: “non sono un’eroina, avrei voluto salvare anche le altre persone che erano lì: ora quelle scene tornano di notte negli incubi.” ma l’eroismo di sandra non si è fermato in quell’orribile giornata a mumbay. la sua decisione di seguire moshè in israele e di continuare ad accudirlo è un atto di non minore grandezza d’animo. “tutti sono sorpresi di vedermi qui” ha detto “ma io mi prendo cura del bimbo, soltanto questo. resterò finché lui avrà bisogno di me. nessuno sa che conseguenze avranno su di lui le scene che ha visto. io voglio assicurarmi che moshè cresca sano, grande e bravo come il padre. con l’aiuto di dio, rimarrò finche lo vedrò così. Per il momento si è adattato molto bene ed ora è un bimbo come tutti gli altri: va all’asilo, gioca, salta.

Ha tanti amici e una vita normale.” l’atto di coraggio di sandra e la sua abnegazione nel continuare a prendersi cura di moshè, il suo eroismo, prima ardito e poi quieto, non hanno lasciato indifferenti gli israeliani. Ha ricevuto il titolo di giusta delle nazioni e il suo nome è ora eternato nel viale dei giusti a Yad va-shem, accanto a coloro che salvarono ebrei durante la shoà, sottolineando così che non importa quando il salvataggio sia accaduto e quante persone siano state salvate, quello che conta è l’atto in sé. come in tutti gli altri casi, l’atto di sandra dimostra che nel momento in cui l’umanità si rivela nella sua peggiore crudeltà, nello stesso istante si mostra anche nella sua migliore bontà.

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Pubblicato lunedì 18 gennaio 2010 alle 17:35:23

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