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Pagine Ebraiche: Il rabbino antidroga vuole abbattere il muro dell’omertà e quello della diffidenza

Aryeh Sufrin combatte da quasi 20 anni le tossicodipendenze. E quando è arrivato un ragazzo in abiti tradizionali islamici alla sua porta per chiedere aiuto, ha fondato “Join the loop”.

LONDRA Spacciatori e narcotrafficanti hanno un nemico particolarmente agguerrito a Londra: il suo nome è Aryeh Sufrin e di mestiere fa il rabbino, “il rabbino antidroga”, lo chiamano dalle sue parti. Sufrin, che vive e lavora nell’East End della capitale inglese, è un tipo abituato
ad abbattere molti muri: il muro d’omertà e di emarginazione che spesso circonda chi ha problemi di sostanze stupefacenti, purtroppo anche all’interno delle comunità ebraiche; ma anche il muro di diffidenza e odio che spesso divide ebrei e musulmani.

Il quartiere in cui opera, infatti, è popolato soprattutto da immigrati, di prima, seconda e terza generazione: inclusi molti ebrei ashkenaziti e musulmani provenienti dal Pakistan, dal Bangladesh e da altri Paesi dell’Asia meridionale.
Purtroppo anche le sostanze stupefacenti sono molto diffuse. Così, quasi vent’anni fa, Sufrin ha deciso di rimboccarsi le maniche e dare una mano ai giovani con problemi di droga e alcol, senza fare distinzioni: ebrei, cristiani e musulmani. La sua lotta alla tossicodipendenza
è conosciuta e apprezzata dalle autorità inglesi, tanto che lo scorso ottobre la regina Elisabetta in persona lo ha premiato con una medaglia al valore civico.

Ma è lo stretto legame del rabbino con i giovani e con le autorità musulmane a rendere il lavoro di Sufrin ancora più prezioso. Infatti, qualche anno fa, quando un ragazzo vestito in abiti tradizionali islamici si è presentato a chiedergli aiuto perché aveva paura del giudizio della sua stessa comunità, Sufrin ha capito che era giunto il momento di fare di più. Così ha lanciato un programma che coinvolge direttamente la Comunità ebraica londinese e quella musulmana: “Dobbiamo imparare ad affrontare apertamente i problemi di droga,
senza vergognarci,” ci racconta il rabbino. “E’ una mitzvah.”

Come ha cominciato a occuparsi di droga?
Ho cominciato a lavorare 19 anni fa con Drugsline (un numero verde di ascolto, gestito dalla Comunità ebraica londinese ma aperto a tutti),
perché c’era un enorme mancanza di informazioni nella Comunità ebraica su come affrontare questo tipo di problemi. Purtroppo, non ci
pensava nessuno. Ma dopo avere posto le prime basi, ho trovato sostegno e disponibilità da molte parti.
Quindi ho deciso di operare il programma in modo pluri-confessionale, per potere offrire il sostegno a ragazzi di diverse comunità, e da allora andiamo avanti così. Credo sia una mitzvah aiutare le persone di ogni fede a capire i rischi che comportano tutte le sostanze chimiche, incluso l’alcol.

Invece il lavoro insieme alla Comunità musulmana da dove è nato?
Uno dei programmi offerti dalla Drugsline è stato chiamato “joining the loop” ed è un progetto gestito insieme dalla Comunità ebraica e da
quella musulmana.
E’ un programma unico perché è iniziato quando un ragazzo musulmano si è presentato al centro Chabad per chiedere aiuto. Parlando con
lui ho capito che non aveva nessun altro posto dove andare, per la vergogna e lo stigma sociale che è spesso associato all’abuso di sostanze chimiche. E come se non bastasse, la sua comunità non era attrezzata per affrontare il problema. Di conseguenza abbiamo addestrato alcuni volontari in quella comunità, dando a Drugsline la possibilità di offrire un servizio in sei lingue, incluse tre asiatiche.

Non sono molti i rabbini che lavorano con i tossicodipendenti...
Purtroppo anche all’interno delle Comunità ebraiche non ci sono abbastanza rabbini o leader che si occupano di droga. Il mio obiettivo è
sensibilizzare il rabbinato e i leader laici, insieme a coloro che lavorano a stretto contatto con i giovani, sui pericoli dell’abuso delle sostanze chimiche: mi auguro che tutti i segmenti della comunità diventino più informati.

Lei lavora insieme a un imam, Haroon Patel. Come va la vostra collaborazione?
In generale va molto bene e mi sta dando una grande soddisfazione. Parliamo spesso insieme: i loro valori sulla famiglia, sui figli e l’educazione sono molto simili ai nostri, così come la sfida di mantenere la religione, la fede e la tradizione in un mondo
spesso lontano da questi valori. A volte parlare di politica è problematico, specie sul Medio Oriente. Per questo cerchiamo di evitare l’argomento e ci concentriamo sull’obiettivo di aiutare le nostre comunità.

Che cosa si può fare per migliorare il rapporto tra ebrei e musulmani?
Lavorare insieme e costruire relazioni per un bene comune è una buona cosa, che porta subito risultati. Dobbiamo capire che esistono molte differenze, ma che sono molte di più le cose che abbiamo in comune rispetto a quelle che ci dividono.
a.m

Foto: Lubavitch.com

Ringraziamo Pini Hazan per la segnalazione.

Pubblicato giovedì 24 dicembre 2009 alle 02:23:08

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