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Esilio: un abito dimenticato, da riscoprire!

Rav Shlomo Bekhor

Nella sera del 9 di Av, è tradizione leggere la Meghillà di Echà. La parte conclusiva della Meghilla di Echà è scritta in tono consolatorio: “Per favore D-o facci tornare, e noi ritorneremo” (Echà 5, 21). Ma proprio l'ultimo versetto suscita una perplessità: perche il concetto di “ritorno” si ripete due volte, nonostante il significato rimanga identico?

E’ ovvio che se D-o ci fa tornare, noi ritorneremo! D'altra parte, sappiamo bene che D-o non ci abbandona; dunque la doppia ripetizione è ambigua. 
 
L’enigma si può senz'altro chiarire grazie a una storia, che esemplifica la situazione utilizzando una metafora immediata.
 
“Un povero possedeva un abito molto bello; quando ebbe bisogno disperatamente di denaro lo diede in pegno, al fine di ottenere il contante. La veste rimase presso il creditore per un lungo periodo, tanto da indurre l'uomo a credere che mai più avrebbe potuto riscattarlo. Allora il creditore si rivolse a un sarto, perché apportasse le modifiche necessarie per poterlo egli stesso indossare. Quando il povero venne a sapere ciò che stava accadendo, si precipitò a raccogliere il denaro del riscatto.
 
Immediatamente, prima che il sarto si mettesse al lavoro e fosse troppo tardi, pagò il debito riottenendo cosi il possesso dell'abito. Rispondendo alla perplessità del ricco sulla sua improvvisa rapidità, egli spiegò: “Fino a quando ritenevo che la veste fosse semplicemente depositata presso di te, ero certo che sarebbe tornata a me non appena restituito il denaro, ma quando mi resi conto che probabilmente, se avessi tardato ancora, l'avrei persa, ecco che mi sono impegnato e sono riuscito a pareggiare i conti per riottenere ciò che era mio”.
 
In modo analogo, D-o ha promesso a Israèl la salvezza anche dal più profondo e lungo galùt; quando, però, proprio a causa della lunghezza dell'esilio, rischiamo di abituarci alla situazione diventando passivi - in modo da temere di non poter più tornare indietro - rischiamo anche di non poter riavere il nostro "abito", poiché una volta modificato non è più nostro. Quando noi rimaniamo indifferenti e non aspettiamo la redenzione con ansia, il Santuario, che ci è stato preso solo in pegno, può venire trasformato dal creditore a causa del nostro disinteresse. Allora abbiamo l'obbligo di affrettarci, poiché correremmo il rischio di perdere l'opportunità di riavere ciò che è nostro.
 
Per tale ragione, Echà si conclude  chiedendo a D-o di farci tornare verso di Lui, perché non ci siamo dimenticati dell'abito che era nostro, ed è ancora destinato a noi. Perciò, ci rivolgiamo a D-o dicendo: “Ti supplichiamo di farci tornare a Te”. A questo, punto noi torneremo, perché siamo ancora in tempo per farlo, siamo ancora meritevoli di riavere l'abito. 
 
La prima parte del versetto è una supplica, che dimostra il fatto che siamo meritevoli di ritornare: “D-o non dimenticarci, noi non abbiamo dimenticato il Santuario, che è in pegno nell'attesa del riscatto. Noi siamo ancora meritevoli per far fronte al nostro impegno, e dunque preghiamo perché Tu, o D-o, ci faccia tornare. Noi siamo pronti. e ci affretteremo a fare ritorno”. 

 

Pubblicato domenica 7 agosto 2011 alle 18:07:52

 
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